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L’ultima
“caporal” Ciao Marco Abbiamo
perso un vecchio amico, con cui negli anni abbiamo fatto battaglie comuni e
pure abbiamo litigato a muso duro, sapendo anche nei momenti, ci sono stati,
in cui ci si ignorava deliberatamente, che si era frutto della stessa storia,
lo stesso letto di un fiume, con due sponde diverse. Le cose che ci
dividevano da Marco erano tante, ad esempio la legge elettorale
maggioritaria, di cui egli fu molto prima di Mario Segni un convinto
sostenitore. Se gli chiedevi che senso avesse per forze di minoranza come le
nostre il sostegno al maggioritario, egli ti rispondeva con il suo sorriso
utopista: la promessa di diventare di maggioranza. Per la verità è accaduto
che il suo partito, in attesa di un consenso sospirato, ha disperso tanti
suoi esponenti a sinistra e a destra, così come è avvenuto quasi lo stesso al
nostro. La tradizione di minoranza liberale e democratica che condividevamo
insieme era davvero minoritaria in un Paese prima monarchico, poi fascista,
poi ancora segnato dalle tradizioni cattoliche e socialiste e ancora ci sarà
da aspettare. Pannella più di noi aveva apprezzato Craxi considerandolo il
primo rinnovatore della sinistra tradizionale italiana ed aderì al
centrodestra quando noi eravamo nell’Ulivo. Appena andammo a destra, oplà,
lui si spostò a sinistra. Laico integralista, non si scandalizzava per le
alleanze, quali che fossero. Di fatto le destabilizzava tutte con la sua sola
presenza. E’ stato uno spirito fin troppo irrequieto Marco in una vita
politica nazionale prevalentemente piatta, il suo pensiero ed ancora più il
suo modo di essere, faticava a conciliarsi con l’ordinario mestiere della
politica. Si sentiva a suo agio solo nei gesti clamorosi, dai bavagli, ai
digiuni, ai pellegrinaggi nelle carceri. Arrivava a provocazioni contro ogni buon
senso candidando pornostar come ex terroristi rossi. Fondamentalmente
cristiano, pensava di poter salvare il mondo con le Maria Maddalena ed i
Barabba del nostro tempo. Se guardiamo indietro non siamo mai riusciti ad
essere pienamente d’accordo con Marco Pannella, anzi, ma in questi ultimi
anni avevamo superato l’astio del Congresso di Genova, i dissapori del polo
laico, le incomprensioni del bipolarismo ed era prevalso un sentimento di
affezione piuttosto stabile. Lo testimonia del resto il calore con cui Marco
è stato accolto l’anno scorso al nostro ultimo congresso, dove rimase
l’intera giornata seduto in ultima fila ad ascoltare gli interventi degli
iscritti prima di chiedere timidamente la parola. Pannella sapeva ascoltare e
chissà che non si sia ritrovato davvero a suo agio nel consesso repubblicano
nemmeno fosse una casa anche sua, tanto da proporci la doppia tessera, quella
radicale e quella del Pri. Marco lo incontravamo spesso al caffè sotto la
sede di Torre Argentina. con quel codino che poteva essere scambiato per una
qualche vanità giovanilista, ma che in verità lo proiettava dritto nel
settecento illuminista da cui era uscito tutto d’un pezzo. Stava sempre più a
lungo al suo tavolino preferito intento a leggere i giornali come un
giacobino sfaccendato a fine Termidoro. “Capezzone lo chiamavo otto volte al
giorno, ed hai visto? Ho perso anche la sua testa”. A sederti con lui era
capace di fumarti tutto un pacchetto di “caporal”, la sua marca preferita, e
poi di chiederti le tue. Negli ultimi mesi, anche se gliene offrivi solo una,
te la rifiutava cortesemente, come a dire, ecco non fumo più e non faccio un
nuovo tipo di sciopero è che ho già spento l'ultima sigaretta. Roma, 20
maggio 2016 |
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